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Etica Umana ed Etica delle Macchine Intelligenti

Questo articolo è un gentile contributo al blog da parte di Alessandro Burgognoni.

L’etica accompagna da sempre la vita umana, da quando la necessità del vivere sociale ci ha indotti o più volte costretti a stabilire delle regole sociali di comportamento, per un vivere che fosse tale da consentire una maggiore probabilità di sopravvivenza all’interno di un gruppo sociale o per garantire “dall’alto” una forma nascosta o latente di controllo.

Dalla legge del più forte al rispetto dell’altro, qualunque sia la sua forza o la sua posizione sociale, le sfumature sono molte e non basta condividere un’etica perché sia applicata perché essa stessa è la mediazione di idee libertarie e volontà di potere che da sempre accompagnano l’esistenza umana.

Un’etica per essere tale va riconosciuta dal singolo e dal gruppo di appartenenza per cui, se socialmente alcuni atti sono ritenuti dallo stesso inaccettabili, si provvederà alla sanzione dell’azione con i modi e i tempi di quel gruppo sociale.

I nostri comportamenti frutto di mille regole familiari, religiose, sociali, spesso non scritte ma confermate dall’accettazione nel quotidiano, sono modulati dalle circostanze, dalla nostra evoluzione ed esperienza mentale nella vita e dai momenti emotivi che la compongono.

Il vivere procede su binari definiti, spesso costrittivi, che riportano i nostri comportamenti al livello della responsabilità delle nostre azioni verso il gruppo di appartenenza, alle sue convenzioni comportamentali e alla accettabilità delle azioni che possono essere compiute senza essere sanzionati.

Oggi dopo anni di ricerche teoriche sull’etica umana, la scopriamo nel quotidiano ancora traballante, così come lo è la natura umana, così come lo sono contrastanti il desiderio di proiezione verso il mondo, di riconoscimento sociale a tutti i costi e il desiderio di dominio di alcuni.

L’etica suggerita od imposta come modello sociale è continuamente smentita da gesti, speculazioni, frodi, prevaricazioni, soppressione di vite e ogni forma di mancato riconoscimento del valore dell’altro in ambito sociale.

Niente di nuovo comunque, in forme diverse si è sempre manifestato nella storia, il desiderio di alcuni di andare contro le regole sociali, non solo per sfregio del pensiero comune ed affermazione di sé o come puro atto di prevaricazione ma, a ragione, per manifestare la propria indipendenza e identità pur nella appartenenza ad un “gruppo” o per farlo evolvere verso una diversa etica, spesso per ragioni giustificate dalle condizioni intollerabili del loro presente.

La spinta interiore che ci  deriva dalla nostra aggressività, che nel tempo moderno si modula nella spinta propulsiva verso una cosciente evoluzione dell’uomo, per altri si manifesta ancora nelle radici della nostra primordiale aggressività che sembra non aver perso la forza malgrado un mondo tecnologicamente evoluto; è come se quell’uomo primitivo si fosse rivestito di un mantello di modernità senza perdere la sua essenza: quella di chi si difendeva o sopprimeva a colpi di clava.

La nostra responsabilità verso gli altri si è fatta più complessa da quando le nostre azioni sono mediate dalla tecnologia. Negli ultimi cinquanta anni progressivamente la scienza e la sua applicazione, la tecnologia, si sono impadronite delle azioni semplici, che l’uomo compie quotidianamente, sostituendo il gesto manuale con il controllo prima analogico e poi digitale degli strumenti.

Nel breve corso di questi ultimi anni le linee teoriche dell’intelligenza artificiale, figlia degli studi della seconda guerra mondiale e delle sue evoluzioni negli anni sessanta e settanta del secolo scorso, hanno trovato nei nuovi mezzi tecnologici dell’informatica e dell’elettronica gli strumenti per la loro realizzazione concreta, e siamo giunti progressivamente alla costruzione di “entità artificiali”, di agenti capaci di azioni nel mondo reale e in quello virtuale della rete internet.

L’estrazione di conoscenza tacita dai dati, la proiezione e la previsione in funzione della conoscenza acquisita sono un patrimonio sempre più applicato nel quotidiano, siamo una società dominata dagli algoritmi, dalle reti neurali artificiali che simulando in forma semplificata il modello cerebrale operano, selezionano, classificano e creano dal conosciuto o dalla sintesi di dati difformi del “nuovo”, a volte inaspettato, come nelle creazioni o elaborazioni artistiche di natura algoritmica.

Il filosofo italiano Luciano Floridi che si è occupato a lungo del tema dedicandosi all’etica delle macchine ha consolidato l’idea che “…abbiamo separato la capacità di agire dall’intelligenza”. In sostanza il comportamento dei sistemi intelligenti emula un comportamento apparentemente umano come se “dietro” ad esso ci fosse una intelligenza ma in realtà c’è solo un processo razionale, matematico, logico, statistico e probabilistico di alta complessità che raggiunge l’obiettivo senza che dietro ci sia “qualcosa” di consapevole dell’azione o dell’analisi effettuata e delle sue conseguenze.

La consapevolezza deriva per noi umani dall’esistenza, dalla presenza di un “Sé”, di una identità consapevole di esistere che, istante per istante, percepisce il vivere e sé stesso ed è capace di rivolgere la propria attenzione non solo al mondo esterno ma anche a quello interiore; un sistema intelligente per quanto sofisticato non ne è dotato. Dunque affidare il nostro esistere ai sistemi intelligenti è saggio?

Da qui nasce la disciplina del “Machine Ethics” a cui si stanno dedicando gruppi di ricerca in tutto il mondo allo scopo di prevedere, orientare, limitare in anticipo il comportamento delle macchine intelligenti per evitare che le loro azioni nel mondo reale producano effetti indesiderati. Il desiderio di andare avanti nello sviluppo tecnologico ci pone in una situazione di dipendenza progressiva dalle nostre scoperte e nel caso dell’intelligenza artificiale, la disponibilità di nuovi mezzi e di nuove soluzioni, ci impone di cercare la “correttezza” e “l’equità” nelle soluzioni proposte dagli algoritmi.

Otteniamo risultati straordinari in campo scientifico, in ogni campo di applicazione degli algoritmi, ma nel campo valutativo e decisionale – come nella selezione del personale – si sono già verificati casi di risultati che hanno dato luogo a risposte discriminatorie o “di parte” sulla base dei dati utilizzati come bacino di valutazione della classificazione. I motivi sono noti, quei dati erano stati precedentemente selezionati con criteri “di parte” da chi li aveva messi a disposizione del sistema.

Le reti neurali artificiali analizzano in base alle caratteristiche dei dati messi a disposizione. Se le caratteristiche dei dati tendono ad esaltare un tipo di “profilo” o “attributo” piuttosto che un altro il risultato non potrà che essere non conforme all’equità che sarebbe richiesta. Alcuni scienziati ricercano un “problem solver”, un “risolutore universale”, un “algoritmo definitivo” capace di affrontare un problema con la stessa completezza di approccio di un essere umano di fronte alla ricerca di una soluzione.

Raggiungere questo obiettivo significa mettere in campo tutte le correnti di pensiero che hanno affrontato i metodi risolutivi e fonderle in un unico modello algoritmico completo in sé stesso. La ricerca è lontana da una svolta ma in fondo, senza arrivare a questi livelli di complessità, il nostro mondo è già in mano ai computer da tempo – come sostiene il ricercatore Pedro Domingos, uno dei fautori dell’algoritmo definitivo – “Ci preoccupiamo che i computer possano diventare troppo intelligenti e si impadroniscano del mondo, ma il problema reale è che sono troppo stupidi e il mondo è già nelle loro mani”.

In definitiva le macchine dotate di possibilità di giudizio e azione conseguente, di analisi dei dati e di estrazione di conoscenza da enormi volumi di dati sono intorno a noi, ma in fondo riflettono ciò che siamo, ciò che desideriamo, ma potrebbero per la loro complessità andare oltre le nostre aspettative e i nostri desideri e agire o effettuare scelte umanamente non accettabili solo in funzione della logica algoritmica e dei dati messi a disposizione.

Già oggi abbiamo processi basati sul deep learning – reti neurali artificiali complesse – che danno soluzioni coerenti di cui non conosciamo il percorso risolutivo, perché racchiuso nelle profondità della rete stessa, questo dovrebbe darci il segno della prudenza di cui abbiamo bisogno per ottenere ciò che vogliamo e spingerci a costruire sistemi efficaci di monitoraggio delle reti risolutive per comprenderne a fondo le logiche sottese.
Infine, nella situazione attuale, priva di valori di riferimento stabili, dovremmo cercare di capire se la nostra ancestrale necessità, spesso nascosta, di trovare un riferimento assoluto, non ci stia portando verso il miraggio della costruzione di un nuovo algoritmo dalle ipotetiche “onniscienti” capacità, per ridare senso all’esistenza attraverso un “assoluto digitale”, qualcuno a cui delegare responsabilità, potere e decisioni, con il rischio che chi ne ha i mezzi si appropri di questo meccanismo e ne faccia uso per fini discutibili o oppressivi.

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